martedì 22 luglio 2014
venerdì 27 giugno 2014
venerdì 13 giugno 2014
domenica 4 maggio 2014
Partnership al progetto_2
Occhio
del riciclone
“Occhio
del riciclone” , nata nel 2003, è oggi un'organizzazione che
comprende una cooperativa e un gruppo di associazioni regionali, che
lavorano in vari campi: ricerca e comunicazione, moda e design,
educazione e animazione ambientali, creazione di reti a favore del
riutilizzo su scala e inclusione sociale. Comprende anche un Centro
di Ricerca che
si distingue per l’ideazione e la progettazione di modelli di
Gestione dei Rifiuti che integrano le Economie Popolari. Fa parte
della cooperativa anche l'attività del Laboratorio di Moda
sostenibile, che progetta capi e accessori a partire da scarti
tessili e di altra natura, e che lavora in sinergia con altre
cooperative sociali e laboratori artigianali romani. Frutto di questa
esperienza è la linea “Belt Bag”, che trasforma vecchie cinture
di sicurezza, banner pubblicitari e altri materiali post consumo in
borse e accessori. L'associazione, inoltre, mette in atto un'opera di
divulgazione e educazione al riuso creativo, con laboratori nelle
scuole, corsi di riuso sartoriale per adulti e laboratori manuali e
creativi.
(tratto
da http://www.occhiodelriciclone.com/, http://www.beltbag.it/ )
Intervista
a Francesca
Patania,
Presidente di Occhio del Riciclone Soc. Coop. Arl, e Carla,
architetto
socia della Cooperativa
B:
Come
descriverebbe i principi e l'operato della sua associazione?
F:
“Occhio del Riciclone” ad oggi è formata da due strutture:
l'associazione culturale e la cooperativa Occhio del Riciclone Italia
ONLUS, della quale mi occupo. Lo scopo della nostra attività è il
riuso creativo nell'ambito dell'arte e della moda, creando prodotti
che siano ecosostenibili e totalmente lavorati a Roma, quindi frutto
del “made in Italy”. Facciamo parte di una filiera di produzione,
lavorando in una rete con altre cooperative, cercando così di
mettere a sistema il lavoro e le competenze di soggetti diversi.
Attualmente è in corso un progetto rivolto a persone con disagio
psichico che già lavorano nei centri diurni delle ASL ma che non
hanno particolari abilità progettuali. Il nostro obiettivo è quello
di formarli, in modo da innalzare il livello di design, creando
occupazione attraverso un lavoro che sia utile sia dal punto di vista
sociale che ambientale, e dando dignità a persone con disagio,
facendo in modo che il prodotto del loro lavoro venga acquistato
principalmente perchè è bello e ben fatto, e non per beneficienza.
In questo modo si può aspirare a una doppia integrazione: quella del
materiale di scarto, che viene reintegrato nel processo produttivo e
economico, e quella delle persone disagiate nel mondo del lavoro.
B:
Dove
svolgete la vostra attività?
C:
La
sede dell'organizzazione si trova a Cinecittà, ma lavoriamo anche in
laboratori esterni, come quelli delle ASL. I Laboratori non si
svolgono in strutture nate appositamente per l'attività
dell'associazione ma in locali che ci ha dato il Comune.
B:
E'
un'attività economicamente redditizia? Avete incontrato difficoltà
o diffidenze?
F:
Sicuramente
oggi possiamo dire di sopravvivere. Bisogna avere una mentalità
imprenditoriale, bisogna capire che non si guadagna subito, che
all'inizio si lavora come apprendistato ma che poi, con l'attività
avviata, ci sono contratti regolari. Le diffidenze e le persone
contrarie si incontrano sempre, ma bisogna andare oltre per avere
delle soddisfazioni.
B:
Quante
e quali professionalità lavorano nei vostri laboratori?
F: Internamente ai laboratori lavorano
4-5 persone che si alternano, con turni di 4 ore al giorno. Poi
servono 1-2 persone che gestiscono il sito, che si occupano dei
flussi commerciali, del conto bancario, delle tasse, della
contabilità, e poi ci sono esperti di marketing e progettisti del
prodotto.
B:
Quali ambienti dovrebbero esserci in un centro di riciclo tessile?
C: Sicuramente dei Laboratori di
sartoria, il magazzino delle stoffe, l'aula per il taglio, quella con
i macchinari, quella per il confezionamento dei prodotti finiti, la
stanza per la progettazione, la stireria, e poi aree ristoro, spazi
aggregativi, ecc.
B:
Che tipo di spazio dovrebbe essere quello dei Laboratori?
F: Prima di tutto, per un lavoro che
sia sostenibile, è meglio avere più laboratori piccoli piuttosto
che uno grande e alienante. In un laboratorio, di circa 80 mq,
dovrebbero esserci 5 macchine da cucire, una per ogni lavoratore, 1
ferro da stiro, 1 grande tavolo da lavoro e scaffali. Gli spazi
devono essere adeguati per l'uso dei macchinari e devono avere grandi
finestre per far entrare la luce del sole. I soffitti dovrebbero
essere alti, anche per permettere di appendere e stendere le
produzioni.
B:
Come è organizzato il lavoro nella sartoria?
F: Beh, c'è la sarta principale che
fa i cartamodelli, poi ci sono le sarte subordinate e le apprendiste,
che si occupano della cucitura, dei tagli semplici, delle pulizie. Se
prevedi anche un negozio, devi considerare anche il personale che vi
fa dei turni, chi ne porta la contabilità (questo serve anche per i
singoli laboratori, in realtà).
B:
Quali altri ambienti servirebbero nel Centro?
F: Sicuramente gli uffici: quello per
il marketing, per la gestione della struttura, la segreteria,
l'accoglienza. Puoi pensarli di circa 25 mq. Poi devi considerare più
o meno 200 mq di magazzino, anche senza illuminazione diretta e con
scaffalature per lo stockaggio sia delle materie prime, prese da
aziende che producono scarti, che della merce prodotta finita, da
vendere. Se fa parte del tuo programma, poi, devi considerare anche
circa 100 mq di negozio.
B:
Che tipo di spazi ricreativi immagina?
F: Beh, ci sarebbe bisogno di una
mensa, di sale ricreative come, ad esempio, una sala informazione con
giornali e quotidiani; una libreria o una biblioteca, con, magari, un
archivio e libri usati, in modo da fare un recupero totale. Secondo
me sarebbe molto utile anche una palestra, perchè quello della
sartoria è un lavoro fisicamente usurante, soprattutto per persone
disabili, già molto deboli e fragili.
B:
Se avesse la possibilità investirebbe in un progetto del genere?
F: Nel tuo? Ma magari!
Partnership al progetto_1
Cooperativa
Oltre
“Oltre”
è una cooperativa nata nel 1992, con l'intento di migliorare la
qualità della vita di persone con disabilità, con iniziative
creative e partecipative che assecondino le diverse personalità,
necessità e inclinazioni, in collaborazione anche con istituzioni,
famiglie e altre associazioni.Il modello di lavoro è quello
creativo, orientato alla ricerca e basato sull'interazione di diversi
soggetti, in un rapporto paritario con gli utenti. L'attività della
cooperativa è organizzata in vari progetti: i week-end residenziali,
durante i quali si prepara il disabile a un distacco graduale dalla
famiglia, per la costruzione di una propria vita autonoma, creando
contesti di socializzazione e convivenza con altri; i Laboratori (
teatro, musica, nuoto, arti manuali, cucina, musicoterapia, ecc)
finanziati dal Municipio, tenuti da professionisti e che si svolgono
in luoghi diversi, non solo per disabili; attività di formazione e
informazione alle famiglie.
(tratto da http://www.coopoltre.org/ )
Intervista
a Emerenziana
Dulisse,
psicoterapeuta, neuropsicologa e dottore di ricerca in “Scienze
neurologiche applicate alla disabilità”.
B:
Che attività ha svolto con l'associazione Oltre, e con quali tipi di
disabilità ha avuto a che fare?
E: Negli ultimi tempi abbiamo lavorato
con un gruppo di pazienti autistici e con adulti con deficit mentali,
quindi con soggetti per lo più autonomi. Purtroppo abbiamo
difficoltà nel trovare degli operatori, anche perchè il rapporto
adeguato tra disabile e operatori dovrebbe essere di 1:2, 1:3.
B:
Come dovrebbe essere lo spazio di una sartoria per disabile? Quali
attenzioni particolari bisogna avere nella progettazione?
E: Dovrebbero essere degli spazi molto
illuminati. La letteratura clinica, infatti, dimostra che i disabili
lavorano meglio con la luce naturale e in ambienti permeabili con
l'esterno. Bisogna studiare gli ausili per i macchinari di lavoro,
come ad esempio i telai, bisogna fare una valutazione ergonomica di
tavoli, forbici, ecc, studiare l'altezza delle mensole, dei piani di
lavoro, in genere considerando disabile per disabile. Devi valutare
il livello di motricità degli utenti, se sia fine o grossolana.
B:
C'è bisogno di “spazi clinici”?
E: Puoi pensare a un'infermeria, a uno
spazio dove anche collaboratori esterni possano visitare o fare
assistenza. E' indispensabile almeno una “sala di decompressione”,
una stanza vuota, con pareti bianche e tappetini per terra, nella
quale gli operatori possano portare il disabile che abbia una crisi
per isolarlo e calmarlo, in un ambiente sicuro, dove non possa farsi
del male.
B:
Come immagina gli spazi ricreativi?
E: In genere ho potuto riscontrare una
comune difficoltà di accessibilità dei centri per disabili. Gli
utenti devono per forza essere accompagnati dalle famiglie, per cui è
necessario pensare a degli spazi per gli accompagnatori, ai
parcheggi, a zone di attesa, magari con connessione wi-fi, in modo
che il parente possa portarsi da lavorare, possa tenersi occupato
mentre aspetta, perchè altrimenti si corre il rischio che non
accompagni più il disabile.
Contesto come luogo
Ripropongo una tavola che ho già pubblicato nel blog, ma alla quale ho aggiunto una griglia, sintesi di tutte le giaciture suggerite dal luogo più prossimo (strade, edifici, ecc) riportate nella mia area di progetto in corrispondenza di punti fissi precisi.
giovedì 24 aprile 2014
In cerca di nuove strade...
Rispetto alle prime idee di programma, ho scelto di specializzarmi nel riciclo tessile, perchè credo che sia una delle forme di riciclo che riesca veramente a riutilizzare un materiale che viene abbondantemente scartato ma che sia anche facilmente reperibile e soprattutto rilavorabile, e che riesca a dare prodotti che diano una resa economica notevole.
Questa è la prima ipotesi che ho fatto (un po' di tempo fa, in realtà!).
Vorrei specializzare ulteriormente il programma, cercando di progettare un centro di riciclo tessile dedicato principalmente a persone affette da disabilità, in modo da creare un centro di formazione e integrazione lavorativa e sociale. Dalla raccolta e dall'elaborazione di queste riflessioni e dallo studio di Eisenman è venuta fuori una base....da smontare e rimontare, ovviamente!
domenica 13 aprile 2014
LA SCACCHIERA
L'edificio che ho scelto di studiare è Casa Guardiola di Peter Eisenman. Come ho scritto nel post precedente, la residenza si compone di due corpi, in parte speculari e incastrati tra loro, generati dalla rototraslazione di una forma originaria, una L estrusa nello spazio che, fatta muovere intorno ad assi diversi, forma dei volumi che si incastrano tra loro, generando i pieni e i vuoti dell'edificio. La cosa che più mi ha interesssata è la dinamicità che Eisenman riesce a dare a un qualcosa che per sua propria natura è statico, come un edificio. Il movimento è alla base di tutta la composizione, ed è reso grazie alla tecnica del "blurring", alla cristallizzazione di tutte le posizioni che un corpo assume nel suo moto, che poi vengono sovrapposte, creando una registrazione dell'intero movimento. Un pò come avviene con un mazzo di carte che, se lo si sviluppa su un piano, può essere letto come una traccia visibile del passaggio della mano che lo ha mosso.
Partendo da questo principio, ho cercato nella mia area delle direttrici che potessero costituire una griglia di partenza dalla quale far nascere delle forme generatrici le quali, duplicate e fatte muovere nello spazio, dessero vita a volumi incastrati tra loro, tenendo conto anche delle visuali principali che dovrebbe avere l'edificio da punti strategici del quartiere.
Plastico originario, fatto da strati di carta sovrapposti per rendere l'incastro tra volumi, la compenetrazione tra due pieni |
PETER EISENMAN
IL CONTESTO_ IL MONDO DECOSTRUITO
Gli anni
'80 del Novecento videro eventi e personaggi che sconvolsero
l'equilibrio economico e politico che si era raggiunto dopo la
conclusione della Seconda Guerra Mondiale, impostato sul teso
rapporto tra due blocchi, uno comunista e l'altro occidentale. Da una
parte la nuova immagine della Chiesa, personificata dal volto del
nuovo papa Karol Wojtyla, polacco, che conosceva il comunismo e che
contribuì alla diffusione di spinte antisovietiche nella sua nazione
di origine, e dall'altra la politica del nuovo presidente della
Russia Gorbacev, caratterizzata da spinte liberali, portarono al
lento indebolimento del blocco sovietico, arrivando alla definitiva
disgregazione il 9 novembre 1989. Il crollo del Muro di Berlino, che
aveva segnato i confini geopolitici dell'Europa postbellica, segnò,
da una parte, l'avvio di lotte per l'indipendenza di Paesi fino ad
allora assoggettati all'Unione Sovietica, come la Cecoslovacchia e
l'ex Iugoslavia e dall'altra l'affermazione dei mercati asiatici e
delle volontà espansionistiche dei paesi arabi, che in alcuni casi
portarono a vere e proprie guerre, come quelle del Golfo.
Dal punto
di vista architettonico gli anni '80 portano un nuovo modo di vedere
la realtà e di leggere l'esistente, un modo di sentire che prenderà
il nome di “Decostruttivismo”.
Atto iniziale di questa rivoluzione architettonica è la mostra
“Deconstructivist Architecture” organizzata nel 1988 a New York
da Philip Johnson, basata sul lavoro di sette personalità, quali
Peter Eisenman, Zaha Hadid, Frank Ghery, Coop Himmelbau, Bernard
Tschumi, Daniel Libeskind e Rem Koolhaas. Il Decostruttivismo si
rifaceva in parte al pensiero del filosofo Derrida, e mirava a una
rilettura della realtà, a una decostruzione, appunto, del
significato delle icone tradizionali e convenzionali.
D.Libeskind, Museo ebraico, Berlino |
PROCESSI DI PROGETTAZIONE IN PETER EISENMAN
Blurring
Negli
anni '80 Eisenman, un tempo attivo nel gruppo dei New York Five, e
già studioso della combinazione in architettura di alcuni temi come
la griglia, il palinsesto, il “tra”, l'algebra booleana, approda
ad un nuovo campo di sperimentazione, incentrato sulla resa del
movimento.
Tale tema non è nuovo al campo dell'arte e dell'architettura, ma fino
ad allora il movimento era stato interpretato o come velocità, ed
era stato quindi associato alla macchina, all'industria, simboli
delle avanguardie dei primi del Novecento, come il Futurismo, oppure
era stato inteso come unico strumento di percezione dello spazio e
della distribuzione dei volumi nel contesto, come ad esempio in
Gropius, o come fluidità tra ambienti diversi, come in Wright,
entrambi legati a un movimento che è più quello di un fruitore che
attraversa lo spazio, che dei volumi stessi. Eisenman, invece,
rifacendosi ai dipinti di Balla e Duchamp, applica la tecnica del
“Blurring” all'architettura, portandola a compimento con Casa
Guardiola, residenza sul mare costruita a Santa Maria del Mar, sulla
costa di Cadice. Il moto continuo delle onde, sembra la suggestione
alla base dell'oscillazione dei volumi che compongono l'edificio,
tutti generati da un'unica forma originaria, una L che duplicata,
traslata e ruotata sia in pianta che in alzato, definisce volumi che
tra loro si sottraggono, si intersecano e si incastrano, generando
non solo la composizione esterna dell'edificio, ma soprattutto la
conformazione dell'interno, con pieni, vuoti, doppie altezze, ecc. Il
movimento dei volumi viene quindi registrato, tramite la
sovrapposizione delle singole posizioni raggiunte dal corpo nel suo
moto, che non è per forza un moto veloce, come quello futurista, ma
che può anche essere fatto di piccoli spostamenti o rototraslazioni
nello spazio.
Duchamp,"Nudo che scende le scale" n.2, 1912 |
P. Eisenman, Casa Guardiola, Cadice, 1988 |
Cavi
audaci per insegnare
Attraverso un processo che si potrebbe
dire di “partecipazione” tra Eisenman e gli studenti del College
of Design Architecture and Planning dell'Università di Cincinnati,
nel 1991 si arriva alla stesura del progetto per l'ampliamento
dell'Aronoff Center di Cincinnati. In questo complesso molti dei temi
sperimentati dall'architetto fin dai suoi esordi giungono alla piena
maturazione. Il programma dell'intervento, che prevedeva la
riorganizzazione degli spazi esistenti e l'edificazione di altre
attrezzature, viene svolto tramite l'accostamento all'edificio
preesistente, sviluppato a zigzag sul terreno, di un edificio ad
andamento curvilineo, che richiamasse la morfologia del contesto
territoriale. L'idea del movimento viene così resa non solo dalla
tensione tra le due geometrie, una rettilinea e spigolosa e l'altra
curva e fluente, ma anche e soprattutto dall'applicazione del
blurring ad entrambi gli edifici, generando intersezioni tra volumi
ruotanti che vanno a conformare gli interni, con terrazze, doppie
altezze, camminamenti trasversali su vuoti, lucernai, che qualificano
lo spazio interstiziale tra i due corpi.
Eisenman, Aronoff Center, Cincinnati 1988-97. In alto: schemi del Blurring A sinistra: lo spazio"in between" interno. |
Rebstock
Park. Plasmare la città
Nel progetto urbano per Francoforte, il
meccanismo progettuale che viene maggiormente sperimentato è quello
del “folding” (piegatura), che, applicato agli edifici, insieme
al “graft” (innesto) e lo “scaling” (riduzione/allargamento),
crea spazi complessi e qualitativamente ricchi. All'idea Moderna degli
edifici indipendenti rispetto alle strade e al terreno sul quale
poggiano, Eisenman contrappone l'idea di “tessuto”, di sistema
totale nel quale terreno, strade, edifici, aree verdi interagiscono
in continuità, unificati dalla “griglia”, da un sistema di
relazioni nei quali gli spazi trovano ordine e configurazione
aprendosi, chiudendosi o cambiando dimensione. La griglia
ordinatrice, però, non è un sistema scelto a priori secondo ideali
geometrici, ma trova fondamento e giustificazione proprio dal sito,
dalla sovrapposizione di direttrici, tracciati recenti o storici,
curve di livello che plasmano e ordinano il tessuto già esistente, e
che vengono qui organizzati in sistemi sovrapposti che generano un
“campo” deformato.
P. Eisenman, Rebstock Park, Francoforte 1990 |
(Riassunto di: "ARCHITETTURA E MODERNITA'. Dal Bauhaus alla rivoluzione informatica.", di A. Saggio, Carocci, 2010;
Parte settima. Il successo dell'architettura nel mondo: 1988-2000, capitolo 29.)
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